IPERSENSIBILIZZAZIONE DELLE PELLICOLE

(con la collaborazione di Piero Lavoratti)

Queste righe sono rivolte maggiormente, all'amante dell'astrofotografia ad alta risoluzione, cosa ancora oggi non pienamente soddisfatta dai moderni sensori CCD, anche se hanno un effetto quantico molto superiore, e di conseguenza sono avvantaggiati da una posa brevissima.
CONSIDERAZIONI SULLA 2415 TECNICAL PAN
Della pellicola 2415 Kodak, della sua ipersensibilizzazione e risoluzione, ne abbiamo letto largamente in vari articoli sulle riviste del settore, ma forse non si è detto tutto. Ad osservare l'aspetto tecnico con più attenzione, si può trovare dei compromessi interessanti, ed alcuni addirittura sorprendenti. Oggi con modeste aperture telescopiche si può rivaleggiare fotograficamente con telescopi professionali di ben maggiore diametro, evidenziando i più fini dettagli di nebulose, ammassi e galassie. La maggior ragione di queste affermazioni, si ritiene che sia senza dubbio la "famigerata" pellicola 2415.Questa pellicola se davvero hyper è quasi esente da difetto di reciprocità, e se sviluppata in modo ottimo, mantiene, (senza tiraggio durante lo sviluppo) la sua straordinaria risoluzione. Per uso astronomico però questo trattamento spinto si rende necessario, ma come vedremo più avanti, rimangono ancora per ogni millimetro circa 200 coppie di linee a nostra disposizione. Quasi tutte le pellicole in bianco e nero o a colori, hanno una risoluzione che nei casi migliori oscilla tra 80 e 125 coppie di linee per millimetro.
UN CENNO SUL POTERE SEPARATORE
Il potere separatore di un obiettivo, in linea di massima è sempre maggiore di quello dell'emulsione fotografica, però sarebbe utile che questi due fattori fossero il più vicino possibile fra loro. Due sono i sistemi attuabili; adoprare una pellicola con potere separatore maggiore, (cosa improbabile nel caso della Technical Pan, dato che risolve circa cinque micron) o si aumenta la lunghezza focale del telescopio, ma entrambe le soluzioni comportano un aumento del tempo di posa. Se per esempio abbiamo un telescopio con un diametro di 200mm, e di conseguenza un potere risolutivo di 0.6 secondi d'arco, abbinato ad una pellicola in grado di risolvere cinque micron, ci possiamo domandare quale dovrebbe essere la lunghezza focale dell'obiettivo o specchio che sia, per avere la massima teorica utilizzazione obiettivo-pellicola? Questo avverrà quando l'angolo sotteso dal potere separatore dell'obiettivo, corrisponderà, sul piano focale a due volte la risoluzione della pellicola, in pratica dieci micron. Pertanto si avrà: risoluzione pellicola moltiplicata un radiante espresso in secondi, diviso il potere separatore effettivo, cioè 0.010 X 206265/ 0.6 =3440 millimetri di focale necessari. Così facendo, potere separatore e pellicola, sono sfruttati totalmente dando il massimo ottenibile al limite della diffrazione, seeing permettendo. Per conoscenza si deve aggiungere che questi fini dettagli così ottenuti, per essere visti separati fra loro, devono essere ingranditi come nel caso visuale. Questi parametri come si è detto sopra, sono puramente teorici, poi in pratica si riducono sensibilmente. In ogni modo si può affermare il concetto, che se si vogliono fotografare oggetti deboli e diffusi rinunciando ai più fini dettagli, si deve dare la prevalenza ad aperture forzate come F/4-F/2, ma se si vuole ottenere risoluzioni, prossime al potere separatore dell'obiettivo, occorrono distanze focali maggiori a scapito della luminosità, e di conseguenza si deve "posare" per un tempo maggiore.
CONSIDERAZIONI SULL'IPERSENSIBILIZZAZIONE
Per ridurre il tempo di posa, un ruolo importante lo gioca proprio l'ipersensibilizzazione. Per quanto abbiamo potuto costatare, a tutt'oggi nessuno a mai voluto paragonare la TP 2415 trattata in idrogeno puro, ad una sensibilità espressa in ISO, o quanto meno quantificare con esattezza il guadagno ottenuto. E' vero che durante questo trattamento ci sono diverse variabili, ma si possono quantificare esattamente, fissando dei parametri precisi e ripetitivi, come vedremo di seguito. Stando a quello che si legge sulle riviste specializzate, è quasi una moda parlare di pellicole hyper, tanto che nelle didascalie di alcune foto si legge frasi come queste; camera Schmidt F/2 posa novanta minuti, 2415 ipersensibilizzata, oppure D=12" F/5 posa 80 minuti 2415 hyper. Walter Ferreri, scrive sul suo libro "Fotografia astronomica", una formula che si è rivelata molto attendibile per pellicole con sensibilità 400 ISO. Applicandola al primo esempio e considerando la magnitudine sei visibile ad occhio nudo, si avrà; Tm. = F/2 al quadrato per 2 elevato alla sesta / 125= 7.8 minuti di posa. Anche considerando un fattore 0.8 per compensare il difetto di reciprocità che è quasi nullo quando la 2415 è hyper, si arriva ad una posa di dieci minuti, sempre ipotizzando una sensibilità di 400 ISO e F/2. Gli altri 80 minuti a cosa sono serviti? Senza dubbio a compensare la mancata ipersensibilizzazione dichiarata dall'autore della foto e il difetto di reciprocità che entra in gioco quando la pellicola non è ben trattata. Nel secondo esempio va un po' meglio, ma considerando ancora una pellicola da 400 ISO, e magnitudine visuale ancora sei, sono sufficienti 48 minuti di posa per saturare il fotogramma, ma essendone occorsi 80, i restanti 32 minuti dimostrano che la sensibilità era appena 200 ISO Trattare le pellicole per ottenere questi guadagni in sensibilità così piccoli ci sembra poco conveniente.
LA CAMERA PER L'IPERSENSIBILIZZAZIONE
Per ottenere una buona ipersensibilizzazione ho tenuto conto di alcuni parametri da rispettare scrupolosamente, in modo da standardizzare il più possibile il "prodotto finito".
Ho pertanto realizzato un circuito di ipersensibilizzazione composta da: un generatore di idrogeno, un filtro antiumidità, un contenitore a pressione con resistenza termostatata, una pompa a vuoto.
Il generatore di idrogeno è composto da un secchio di plastica, una bottiglia di vetro alla quale è stato levato il fondo, e due elettrodi. Lo schema è osservabile nello schema a fianco.
Gli elettrodi sono alimentati da un comune alimentatore stabilizzato che genera una tensione di circa 5/6 Volt ed è in grado di operare con una corrente di almeno 1,5 A.
Ricordiamoci che il catodo deve essere isolato dall'acqua mediante una guaina.
L'idrogeno viene prodotto per elettrolisi di acqua e soda. La diluizione della soda nell'acqua non presenta problemi particolari. Conviene preparare il composto senza la bottiglia (che funge da campana di vetro) e con l'alimentatore acceso.Immettendo un amperometro nel circuito aggiungeremo la soda all'acqua lentamente, fino a quando osserveremo un assorbimento del circuito di circa 1 Ampere.
Sulla "bocca" della bottiglia è stato messo un rubinetto per impedire che l'acqua possa immettersi nelle tubazioni. Fra il generatore di idrogeno e la camera a vuoto è stato inserito un contenitore di sali igroscopici (il classico silicagel) che ha una funzione di deumidificatore del gas.
La tubazione porta a un raccordo a T con un rubinetto su ogni uscita, in modo da isolare facilmente ogni singola parte del circuito. 
Da questo raccordo una derivazione porta al contenitore a pressione termostatato mentre l'altra conduce alla pompa a vuoto.
Sulla parte superiore del contenitore a pressione è stata messa una elettrovalvola per lo scarico del gas. 
La pompa a vuoto è stata realizzata con un motore di un vecchio frigorifero mentre il contenitore a pressione fu da me acquistato dalla Lumicon molti anni fa ma è facilmente realizzabile anche da un tornitore in quanto si tratta di una "pentola" di alluminio con un coperchio avvitabile e a tenuta garantita da una o più guarnizioni.
Il riscaldamento può essere effettuato anche utilizzando un contenitore d'acqua più grande riscaldato con delle serpentine e con un termostato che garantisca la stabilità termica.
Per ridurre l'influenza dell'ambiente ho rinchiuso il contenitore in una "scatola" realizzata in poliuretano espanso compresso (acquistabile presso qualsiasi rivenditore di pannelli isolanti).
L'USO DELLA CAMERA DI IPERSENSIBILIZZAZIONE
L'uso della camera di ipersensibilizzazione è molto semplice e può essere fatto tranquillamente in casa senza alcun rischio. Infatti anche la produzione di idrogeno è molto limitata e non potrà mai arrivare ad assumere una concentrazione talmente elevata da creare pericoli per l'incolumità. Si consiglia, comunque, per ulteriore sicurezza, di lasciare comunque aperto un punto di areazione per il ricambio dell'aria nella stanza.
Per prima cosa prendiamo la pellicola, o lo spezzone, già all'interno del proprio rullino, e la mettiamo nel contenitore a pressione avendo cura di mettere del materiale isolante sotto il rullino per evitare il contato con le pareti del contenitore. A questo punto possiamo cominciare a scaldare il contenitore accendendo il circuito di riscaldamento e, contemporaneamente, dopo avere chiuso ilo rubinetto 4 e tenuto aperto solo parzialmente il rubinetto 2, cominciamo a produrre il vuoto mediante la pompa a vuoto.
E' bene munire il contenitore a pressione di un vacuometro per vedere quando si raggiunge il massimo del vuoto.
In questa fase e in quelle successive l'elettrovalvola dovrà rimanere ermeticamente chiusa.
Una volta raggiunto il vuoto più spinto chiuderemo il rubinetto 1 e spengeremo la pompa a vuoto.
Nell'attesa che il contenitore a pressione raggiunga la sua temperatura di lavoro (io uso una temperatura di 50° misurata sulla superficie esterna) apriamo leggermente il rubinetto 4 e riaccendiamo la pompa a vuoto fino a quando il livello dell'acqua non raggiunga quasi la cima della bottiglia, evitando che l'acqua entri nelle tubazioni. Dopodiché, spenta la pompa a vuoto e chiusi tutti i rubinetti, possiamo accendere l'alimentatore e vedremo che l'idrogeno comincia a formarsi all'interno della bottiglia.
Man mano che il gas si forma (e dall'anodo fuoriescono bollicine di ossigeno) vedremo il liquido nella bottiglia abbassarsi fino a quando la piastra del catodo non rimane scoperta e l'elettrolisi si interrompe.
A questo punto dovremo avere anche raggiunto l'equilibrio termico del contenitore della pellicola.
Possiamo perciò cominciare la fase effettiva di ipersensibilizzazione: apriamo i rubinetti 4, 3 ed 1 (quest'ultimo molto poco) e vedremo, tramite le variazioni del vacuometro, che il gas entra nel contenitore. Una volta raggiunta la stabilizzazione barometrica chiudiamo i rubinetti 3 e 4 ed apriamo il rubinetto 2 accendendo la pompa a vuoto per ricreare il vuoto nel contenitore.
In tal modo si eliminano eventuali tracce di ossigeno e di umidità che erano rimaste all'interno del contenitore a pressione. Chiudiamo il rubinetto 2 e spengiamo la pompa a vuoto, riaprendo contemporaneamente i rubinetti 3 e 4.
In questo modo l'idrogeno, più puro ora, potrà cominciare la propria opera di ipersensibilizzazione.
Ogni 30/40 minuti andrà aperta l'elettrovalvola per 3/4 secondi (utilizzando magari un circuito tipo quelli delle lavatrici) in modo che l'idrogeno possa automaticamente rinnovarsi. L'unica accortezza da tenere presente è che il contenitore deve essere posto più in alto di tutti gli altri apparecchi.
I risultati da me ottenuti dopo 7 ore di "cottura" con questo sistema sono stati molto incoraggianti.
Ho effettuato infatti svariati test comparativi con una pellicola utilizzata spesso in astrofotografia (la Kodak Tmax 400) facendo esposizioni di 5/10/15/20 minuti in camera oscura con illuminazioni ridotte e retini di controllo.
Ho sviluppato la pellicola con sviluppo Ornano Gradual ST20 diluito 1+9 a 24° per 9 minuti con agitazione di 10"/min.
Ho effettuato le medesime esposizioni con la TP 2415 ipersensibilizzata con il metodo sopra esposto e l'ho sviluppata nello stesso modo della precedente.
So benissimo che esistono sviluppi che danno risultati migliori ma, che volete fare, al Gradual ci sono affezionato e non mi ha mai tradito.
L'esame dei negativi ha portato ai seguenti risultati (non tenendo conto dei maggiori dettagli rilevabili dalla TP 2415): a 5' ambedue le pellicole non presentano alcuna velatura e risultano sottoesposte. L'esame della densità dei neri non presenta sostanziali differenze fra l'una e l'altra.
A 10' l'esposizione è quasi corretta sulla 2415 mentre è ancora leggermente sottoesposta la Tmax. Nessun velo apprezzabile mentre la densità dei neri risulta più marcata sulla TP 2415.
A 15' la differenza con la Tmax è già netta anche alla prima occhiata. Quest'ultima risulta esposta quasi correttamente mentre la 2415 è molto più contrastata e si notano nettamente le differenze tra le zone a illuminazione differente.
A 20', ancora senza velo percepibile, la Tmax presenta una buona esposizione ma la TP2415 sembra che sia esposta con un'apertura di almeno un diaframma superiore, se non di più.
Le foto sono state scattate tutte nella medesima giornata, con una macchina fotografica Canon F1 e obbiettivo 35 mm aperto a F:5,6.
L'unica cosa che dobbiamo ricordarci quando operiamo con le pellicole ipersensibilizzate è che tale processo è molto delicato e la pellicola risente molto dell'umidità. E' bene ipersensibilizzare solo quando siamo certi che andremo a fotografare e sviluppiamo subito al ritorno le pellicole.
Logicamente un trattamento con temperature inferiori o con minor durata porterà a una minore ipersensibilizzazione.